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Intelligenza Artificiale e Lavoro: ‘molto dipende dai nostri obiettivi’

Ma è questo l’anno dell’Intelligenza Artificiale? Davvero l’IA eliminerà posti di lavoro? A che punto siamo in Italia? Queste, in sintesi, alcune delle domande che abbiamo rivolto al dottor Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), in occasione del prossimo AI Forum del 12 aprile a Milano.

Di Intelligenza Artificiale si parla ormai sempre di più e per noi di InTime Blog è arrivato il momento di offrire a voi l’occasione di saperne un po’ di più, anche su come il nostro paese si sta preparando a questo grande fenomeno. Allora, la persona più indicata per questo non poteva che essere il dottor Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA), un’associazione che ha oltre trent’anni di attività che verranno celebrati il prossimo 12 aprile in occasione dell’AI Forum, presso il palazzo Mezzanotte a Milano. La nostra chiacchierata ha toccato molto punti, anche quello che riguarda il grande tema del lavoro, ossia se l’Intelligenza Artificiale eliminerà posti di lavoro o se invece contribuirà a crearne di nuovi. “Molto dipenderà dai nostri obiettivi”, ci ha risposto il dottor Poccianti.

Ruolo Intelligenza Artificiale, se ne parla ormai da tanto, è dal 2015 che ogni anno si dice “questo è l’anno dell’Intelligenza Artificiale”.

«La voglia che qualche macchina acquisisca una sorta di intelligenza, in realtà, è molto antica, ma la nascita dell’Intelligenza Artificiale come disciplina moderna avviene nel 1956 al congresso di Dartmouth, ed è in questa occasione che nasce la definizione di “Intelligenza Artificiale”. Ma per la verità, e questo è un dato storico, già nel 1943 due studiosi, McCulloch e Pitts, realizzano quello che viene ritenuto essere il primo vero algoritmo inerente all’IA. Anche Turing, nel 1950 con il suo “Test di Turing” si poneva il problema se una macchina fosse in grado di “pensare”, realizzando quello che viene conosciuto oggi come “The Imitation Game“.

Dopo il 1956 attorno all’Intelligenza Artificiale abbiamo vissuto diverse “onde”, gli studiosi li chiamano gli “inverni” e le “estati” dell’Intelligenza Artificiale. Nel senso che si sono vissuti momenti di forti critiche alternati da momenti di grandi entusiasmi.»

intelligenza artificiale intervista poccianti franzrusso.it 2019

E adesso in quale “stagione” dell’AI ci troviamo? Dove siamo arrivati oggi con l’Intelligenza Artificiale?

«Oggi possiamo affermare di vivere una grande “primavera”, forse addirittura un’estate. Tenga presente che noi oggi abbiamo in uso degli algoritmi che risalgono per lo più agli anni ’80 derivanti dagli studi di McCulloch e Pitts sul “neurone artificiale” e capaci di creare delle reti che permettono di “imparare”, quindi di replicare le dinamiche del cervello umano. L’Intelligenza poi non è fatta solo da quello, è fatta anche dalla capacità di percepire e su quello si stanno ottenendo dei grandi risultati.

Lei mi chiede dove siamo oggi e le rispondo che siamo molto lontani da una “Intelligenza Artificiale” generale, tanto per fare un esempio, una sorta di Blade Runner, però siamo in grado di realizzare macchine che eguagliano, e in qualche caso superano, le capacità dell’uomo in ambiti particolari. Ci sono esempi in questo senso nel mondo dei videogiochi, ad esempio il poker, e ci sono poi esempi di macchine in grado di riconoscere oggetti all’interno di una scena. Ecco per intenderci, oggi abbiamo macchine molto evolute che riescono a fare e a percepire cose che l’uomo non è in grado di fare. Basti pensare al mondo della medicina dove ci sono macchine ad Intelligenza Artificiale che riescono ad effettuare diagnosi che l’uomo non riuscirebbe a fare.»

Se oggi guardiamo alla vita di tutti i giorni, parlando di Intelligenza Artificiale è molto facile entrarvi in contatto attraverso dispositivi mobili che permettono il riconoscimento degli oggetti, come la fotocamera, e anche gli smart speaker, gli assistenti virtuali. Stiamo parlando anche di questo?

«Gli studi sulle limitazioni delle reti neurali sono iniziati alla fine degli anni ’60 con due ricercatori, Marvin Minsky e Seymour A. Papert, che nell’opera “Perceptron”, mostravano i limiti operativi delle semplici reti a due strati. Da qui, dopo una brusca frenata, si arriva alla metà degli anni ’80 quando un gruppo di studiosi riesce a dimostrare come una rete può essere composta da tanti strati e quindi in grado di superare i limiti riconosciuti da Minsky e Papert. Ecco, quegli algoritmi sono praticamente quelli che stiamo usando oggi. Solo che oggi abbiamo delle macchine con delle potenze di calcolo molto più elevate rispetto a 30 anni fa, basti pensare alla potenza delle schede grafiche di oggi dotate di parallelismo. Inoltre tutti gli algoritmi di machine learning si sono raffinati, inoltre abbiamo a disposizione un’enorme mole di dati che permettono alle macchine di imparare attraverso degli esempi.

Per tornare ai suoi esempi, gli assistenti virtuali sono macchine intelligenti che riconoscono il parlato, in modo abbastanza “tradizionale”. Il passo successivo consiste nell’insegnare loro non solo a colloquiare, ma anche a spiegare. Se, ad esempio, chiedessimo ad Alexa o a Google Home “che tempo fa oggi?“, la risposta sarebbe quella che si aspetta, ma se provassimo a chiedere “perché?” non sarebbero in grado di rispondere. Ed è proprio questo uno dei grandi limiti di queste tecnologie: l’incapacità di dare una motivazione alle proprie “azioni”, un problema che ci ritroveremo ad affrontare anche con le auto a guida autonoma. La grande sfida che abbiamo di fronte oggi sta quindi nel mettere insieme la capacità di percepire con la capacità di ragionare. Sono tanti gli esempi che stanno cominciando ad andare in questa direzione e anche enti di ricerca e agenzie governative, pensiamo agli Usa, che spingono affinché si possano mettere insieme i vari paradigmi.»

Ma allora, dottor Poccianti, la domanda adesso è quella che tutti si aspettano e siamo sicuri che lei ci aiuterà a capire meglio. Ma l’Intelligenza Artificiale davvero ruberà il lavoro o forse è meglio credere che creerà nuovi posti di lavoro? Qual è la sua visione su questo tema?

Piero Pocciani Associazione italiana per l'intelligenza artificiale
Piero Pocciani – Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale

«È un quesito che come ricercatori accademici ci poniamo spesso perché è un nostro dovere morale, verso la società, chiederci dove la nostra ricerca ci sta portando. Su questo tema come Associazione abbiamo organizzato diversi eventi coinvolgendo le scuole, perché crediamo sia giusto che anche i giovani ragionino su queste problematiche, non solo sociologi ed economisti.

Ad oggi possiamo dire di essere arrivati ad una conclusione: molto dipende dagli obiettivi che ci poniamo come uomini. Se guardiamo le altre rivoluzioni industriali, notiamo che sono state inventate e introdotte delle macchine che hanno aiutato ad alleviare i lavori più usuranti e pesanti. Con l’Intelligenza Artificiale stiamo potenziando le macchine in modo che possano fare lo stesso con il lavoro intellettuale.

Guardando sempre le rivoluzioni industriali precedenti, notiamo che alcuni mestieri sono spariti mentre altri sono stati creati, ma non solo. I risvolti positivi sono emersi anche a livello sociale e umano: gli orari di lavoro sono diminuiti e le condizioni lavorative migliorate. A tal proposito vorrei ricordare che in un famoso discorso del 1930 a Madrid, John Maynard Keynes disse: “i miei nipoti non dovranno lavorare più di 15 ore alla settimana se vogliamo che il sistema economico non entri in crisi“.

Se dobbiamo fare delle considerazioni sull’impatto che avrà l’AI sul mondo del lavoro ci troviamo di fronte a due scuole di pensiero. La prima, quella un po’ più pessimistica, ritiene che l’introduzione dell’AI e di sistemi robotici influirà sulle mansioni oggi esistenti per il 70%. Gli impatti negativi rilevati da questi studi sono però mitigati dal fatto che alcune professioni non verranno toccate. Si pensi a professioni come il cuoco. I robot e l’AI potranno facilitare alcune mansioni ripetitive proprie di questa professione. Laddove però si assumerà un solo cuoco anziché due, in questo caso si parla di disoccupazione.

La seconda invece è più ottimistica e crede che l’Intelligenza Artificiale creerà nuovi posti di lavoro che noi oggi non conosciamo. Per fare una sintesi di queste due posizioni, molto dipende da quello che noi desideriamo, gli obiettivi che ci poniamo.

Se quello che vogliamo ottenere è ridurre i costi e aumentare la produttività, allora si avrà disoccupazione. Al contrario, se ragioniamo in termini di benessere della società, intesa non solo come equa distribuzione dei profitti ma anche come aumento della qualità della vita, sono fermamente convinto che le macchine potrebbero aiutarci a raggiungere questi ultimi due obiettivi.

Purtroppo la nostra società ragiona esclusivamente in termini di PIL e di profitti, e si tende a pensare che queste due grandezze siano direttamente proporzionali al benessere, ma non è così. In questo contesto, dovremmo cominciare a ragionare in ottica di benessere, altrimenti rischiamo davvero di farci del male. Ma ricordiamoci sempre, che le macchine sono fatte per diminuire il carico di lavoro dell’uomo, non per aumentarlo. Quello che ci auspichiamo, come Associazione e come ricercatori, è di vedere una collaborazione proficua tra uomo e macchine, di modo che quest’ultime compiano le mansioni ripetitive e logoranti, mentre all’uomo siano relegati i compiti più creativi.»

Associazione italiana per l'intelligenza artificiale AIxIA

Lei, giustamente, sottolineava il fatto che questo del lavoro è un problema politico, ed è così. Solo che la politica, come abbiamo visto negli ultimi anni, ha difficoltà a stare al passo con i tempi, perdendo, come spesso capita delle occasioni.

«Credo che stiamo vivendo una crisi che ha più facce. È una crisi democratica, nel senso che si ha la sensazione di non avere più fiducia negli strumenti democratici. È una crisi economica, le differenze tra i ricchi e i poveri stanno aumentando sempre di più. Ed inoltre abbiamo una grossa crisi ambientale: molti di coloro che dicono che la produttività aumenterà pensa che le risorse siano infinite.

È come se vivessimo in un’astronave che dobbiamo preservare, sapendo bene che noi abbiamo bisogno della Terra, ma la Terra non ha bisogno di noi.»

Per chiudere, dottor Poccianti, Le chiedo di descriverci cosa fa l’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, che ha più di 30 anni di storia, e se può farci un po’ lo stato dell’arte dell’AI nel nostro paese.

«L’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (oggi conta più di 1.000 membri tra ricercatori, professori universitari e società, n.d.r.) è nata nel 1988 dopo la più grande conferenza generalista sull’Intelligenza Artificiale, la IJCAI (International Joint Conferences on Artificial Intelligence), che nel 1987 si svolse proprio a Milano (è curioso notare che questa conferenza, insieme a quella europea, nel 2022 sarà di nuovo in Italia per la precisione a Bologna).

L’Associazione ha l’obiettivo di diffondere a 360° la cultura sull’Intelligenza Artificiale, diventando un punto di riferimento sia per la ricerca che per le imprese. Due attori che giocano un ruolo diverso ma strettamente connesso. Da qui lo sforzo da una parte di far comprendere alle aziende l’importanza di affidarsi alla ricerca per avviare delle collaborazioni proficue e vincenti, dall’altro di promuovere la ricerca italiana, sottolineando l’eccellenza che la caratterizza. In realtà come ben sappiamo in Italia si investe poco in ricerca, ma il numero di articoli dei ricercatori sull’Intelligenza Artificiale e il numero di citazioni sono fra i più alti del mondo.

Se consideriamo la penetrazione di AI nel tessuto industriale italiano, notiamo come siano poche le aziende ad aver adottato soluzioni AI. Siamo ben lontani dalla situazione che si riscontra, ad esempio, in Francia e Germania. Quello che caratterizza la situazione europea è la forte presenza di PMI, che sono incapaci di sviluppare l’AI (per carenza di risorse non di capacità) come invece avviene nelle grandi multinazionali di USA e Cina.

In Italia si sta cercando di fare divulgazione e conoscenza, attraverso la nostra attività e non solo. Anche il Politecnico di Milano sta lavorando molto in questo senso (qui i risultati presentati di recente proprio dal Polimi sull’Intelligenza Artificiale in Italia).

Le aziende forse ancora non hanno compreso appieno l’Intelligenza Artificiale, e forse non hanno neanche un’adeguata cultura sul tema. Uno degli obiettivi dell’AI Forum (che si terrà a Milano il prossimo 12 aprile) è quello di creare un tessuto connettivo fra la ricerca e il mondo delle imprese.

Ci terrei inoltre ad aggiungere che dobbiamo recuperare i valori dell’Europa e pensare alla collaborazione. Perché anche la Francia o la Germania sono troppo piccoli per affrontare quello che sta per arrivare. Dobbiamo quindi pensare ai valori etici dell’IA, un aspetto molto importante.»

Grazie davvero al dottor Poccianti per questa bella chiacchierata e per avermi aiutato a capire meglio quale sia lo stato dell’Intelligenza Artificiale oggi, anche nel nostro paese.

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Franz Russo Blogger, Digital Strategist
Franz Russo, fondatore, nel 2008, del blog InTime, ho collaborato con grandi aziende nazionali e internazionali, come consulente per strategie di comunicazione e come divulgatore. Da sempre impegnato nella comunicazione digitale, cerco di unire sempre una profonda passione per l’innovazione tecnologica a una visione olistica dell’evoluzione dei social media e degli strumenti digitali. Il mio percorso professionale in questo campo, iniziato nel 2007, è stato caratterizzato da un costante impegno nel raccontare e interpretare i cambiamenti nel panorama digitale. Il mio approccio si basa su un mix di analisi strategica, creatività e un profondo impegno per il racconto e la divulgazione.
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