Quando la libera professione è una scelta, regala una libertà di cui è necessario assumersi anche la responsabilità personale. Perché in un mondo in cui la competizione si fonda sulla flessibilità, tra Smart Working e Freelance, ci sono rischi da non correre per preservare Autenticità, Creatività ed Efficacia lavorativa.
Sul portale nazionale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lo Smart Working è definito come la nuova modalità di lavoro di un’azienda, nella quale le esigenze personali del lavoratore si conformano, in modo complementare, con quelle dell’intera organizzazione.
Gli obiettivi fondamentali sono quelli di favorire le condizioni dei singoli, ma allo stesso tempo di innovare i servizi dell’impresa, rendendola – grazie a questa conciliazione – molto più competente sul mercato.
Da una parte, dunque, le singole persone possono contare sia su orari sia su spazi nuovi di lavoro – in particolare fuori dagli uffici come è l’Home Working – e conciliare le esigenze personali, dall’altra parte l’azienda stessa ristruttura le dimensioni ambientali e il funzionamento e conta sullo sviluppo completo di tutte le sue potenzialità.
Un risultato lavorativo uguale a prima? Si suppone e ci si aspetta che sia meglio di prima.
E’ il potere della Flessibilità del lavoro: il concetto chiave su cui convergono sia Smart Working e Home Working aziendale sia una nuova forma di lavoro ormai conosciutissima, quella del Freelance e del Libero Professionista.
Come scrive Francesco Russo nel suo post i dati rilasciati da Adecco Italia sulle assunzioni a tempo indeterminato nel 2015 evidenziano come, anche in Italia, comincino ad affacciarsi concetti come smart working e freelance.
Nel 2020 negli USA si stima che già il 50% dei lavoratori sarà costituito da liberi professionisti, mentre in Italia da oggi a cinque anni “quando si chiede “come ti vedi fra 5 anni?” 3 su 4 (il 74% dei lavoratori) si vede come lavoratore dipendente, mentre solo il 22% risponde che svolgerebbe una professione autonoma”.
Approfondendo il significato attribuito al lavoro, continua Francesco Russo: “il 42% degli intervistati vede il contratto a tempo indeterminato come una tutela e solo il 19% come una costrizione”.
E questo, dal punto di vista psicologico, è un dato estremamente rilevante.
Certo si sa che la stabilità lavorativa è la moneta di scambio, ma ci si chiede concretamente se la flessibilità sul lavoro possa realizzare uno stile di vita migliore.
Più rispettoso delle condizioni umane e sentimentali – in termini di aspettative e qualità della vita -, meno stressante e anzi più aperto a una crescita professionale e personale.
Purtroppo la libera professione non è sempre una scelta.
Tuttavia, lo è sempre di più e – quando lo è – significa dover fare prima ancora una vera e propria scelta di vita.
Spazio, tempo, priorità.
Domeniche. Vacanze.
Iniziare il lavoro di freelance o di libero professionista significa riguadagnare potere decisionale su queste variabili.
E prendere decisioni, psicologicamente parlando, è sempre la via più difficile.
Scegliere e decidere di sé implica necessariamente aver fatto prima almeno una pausa – magari solo interiore – sufficiente ad essersi ascoltati per capire cosa si vuole diventare da grandi. E non è affatto un giochetto da bambini.
Decidere fa paura, perché la libertà fa paura.
E fa paura perché la responsabilità cade tutta su di noi.
Flessibilità lavorativa vuol dire imparare ad amministrare e coordinare il tempo e le mansioni da soli, ottimizzando la libertà di muoversi e diversificando le competenze, per realizzare al meglio il proprio potenziale intellettivo, conoscitivo e lavorativo.
Piegarsi e non spezzarsi? L’elasticità è questo.
Una condizione veramente difficile per la mente umana: per rimanere vigile e creativa al tempo stesso deve costantemente aggiornare le informazioni immagazzinate, ampliare e diversificare la precedente formazione e restare comunque aperta a ricominciare da capo.
Ricominciare in altri ambiti, in altre modalità, e a volte proprio da zero.
Senza che questo comporti un senso di fallimento.
Esiste un limite nella nostra psiche che non va superato: quello di mettere a repentaglio la propria stabilità interiore e la natura della propria personalità.
Il costo psichico sarebbe quello di una quota d’ansia quotidiana e un livello dello stress insuperabili da gestire, che a loro volta non possono che annientare tutti nostri sforzi.
L’identità personale percepita è il caposaldo da conservare.
Tutti noi abbiamo un‘immagine di quello che siamo, spesso incoscientemente alterata da vissuti precedenti o da ambizioni più o meno soddisfatte. E’ esattamente quell’immagine quella che va preservata.
Al costo – non reversibile – di arrivare a una frammentazione del senso di sé.
Esiste un nucleo di noi, la nostra Autenticità, che è il bene più prezioso che abbiamo.
Lo riconosciamo – e lo riconoscono gli altri – nel nostro modo di parlare più spontaneo, nel nostro modo di pensare, usare il Linguaggio Non Verbale, confrontarsi rimanendo fedeli a se stessi. Coerenti.
Coerenza non come concetto morale, ma come parametro per non smarrire se stessi.
E’, quindi, necessario imparare ad adattarsi alla flessibilità.
La dottoressa Mary-Anne Barclay, dell’Università del Queensland in Australia, ha condotto una ricerca in cui sono stati identificati i fattori di maggior rischio psicologico e sociale della flessibilità al lavoro.
Secondo il suo team di ricerca (2013), i fattori cruciali da non perdere di vista sono il Controllo e la Gestione del Tempo, le Relazioni Interpersonali – soprattutto le relazioni di coppia – e le Risorse Fisiche e Nervose.
In primo luogo i danni sulla salute: l’esaurimento di forze comporta non solo squilibri psicologici di ansia e stress, ma tende con facilità estrema a somatizzarsi, provocando alterazioni negative del sistema immunitario e digerente.
L’affaticamento cerebrale comporta poi, anche se ostinatamente non vogliamo accorgercene, una diminuzione della concentrazione e della memorizzazione di nuove informazioni.
Non solo si è più stanchi e più nervosi: si è anche più distratti e si produce di meno.
Certo rimane il fatto che – nel lavoro autonomo – “più lavori e più guadagni”, e ovviamente è per questo che si tende a spingersi fino al limite delle proprie possibilità mentali e fisiche.
Eppure quel limite va definito con una strategia di vita, che va rispettata esattamente come si rispettano le strategie lavorative.
I vantaggi saranno moltissimi: gestire il tempo dedicato al lavoro rispettando gli intervalli necessari ai ritmi biologici (sonno/veglia e alimentazione) e al riposo mentale porta sicuramente ad avere una marcia in più, una volta rientrati.
Si può sperimentare facilmente come, allontanandoci dal lavoro – dalla nostra continua connessione – possiamo ridimensionare con equilibrio i problemi, scoprire soluzioni, trovare un livello decisamente più alto di creatività e produrre di più.
E molto utile è alternare il lavoro solitario con modalità di lavoro in spazi di Coworking, dove potersi relazionare, confrontare, stimolarsi a vicenda, ma dove è anche più facile fare una pausa per un caffè.
Il lavoro autonomo si traduce, dunque, in una sfida: se da un lato viene scelto (quando viene scelto) per la libertà di autogestirsi e di conciliare lavoro e vita privata, dall’altro presenta rischi perfettamente riconoscibili.
Assumerci la responsabilità di noi stessi, della nostra salute e del rispetto della nostra Autenticità, rimane il primo passo da fare.