Un nuovo studio su Twitter, pubblicato su Nature, mostra che il deplatforming dopo i fatti di Capitol Hill ha ridotto drasticamente la diffusione di disinformazione.
L’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 ha scosso il mondo. Un evento di cui si parla ancora oggi, per la sua imprevedibilità e per il ruolo che i social media hanno giocato in quell’occasione. Un evento che ha messo in luce il pericoloso potere della disinformazione diffusa proprio attraverso i social media.
In risposta a quegli eventi, molte piattaforme intrapresero azioni senza precedenti per rimuovere account associati a queste attività. Lo stesso account di Donald Trump venne sospeso da Twitter. E anche dalle piattaforme di Meta.
Capitol Hill, Trump e i social media
Torniamo a parlare di questo argomento non solo perché Donald Trump è di nuovo candidato alla presidenza degli Stati Uniti e ha recentemente subito una condanna penale, ma anche perché un recente studio ha evidenziato come il deplatforming può essere una barriera solida alla diffusione di disinformazione.
Il rischio di una situazione simile a quella di Capitol Hill nel caso in cui Trump non fosse più candidabile ha riacceso il dibattito.
Uno studio pubblicato su Nature ha esaminato l’impatto delle azioni di deplatforming, in particolare su Twitter, e ha analizzato le conseguenze sulla diffusione della disinformazione. L’obiettivo principale dello studio era valutare l’efficacia della pratica di deplatforming nel tentativo di ridurre la diffusione della disinformazione.
Lo studio pubblicato su Nature sul deplatforming
I ricercatori, guidati dal professor David Lazer, docente di scienze politiche e informatica alla Northeastern University di Boston, si sono concentrati su Twitter, una delle piattaforme più colpite da questa problematica, analizzando i dati prima e dopo la rimozione degli account.
Gli autori hanno utilizzato un approccio quantitativo per raccogliere e analizzare i dati, esaminando il volume e la portata della disinformazione su Twitter in due periodi distinti: prima e dopo il deplatforming.
Le metriche analizzate includevano il numero di tweet contenenti disinformazione, il livello di interazione con questi tweet e la velocità con cui si diffondevano.
Lo studio ha preso in esame un campione di circa 500.000 utenti di Twitter attivi al momento delle rilevazioni, concentrandosi in particolare su 44.734 di questi utenti che avevano condiviso almeno un link a un sito web incluso nelle liste di fonti di notizie false o a bassa credibilità.
Tra questi utenti, quelli che seguivano account messi al bando dalla eliminazione di QAnon erano meno propensi a condividere tali link dopo la deplatforming rispetto a quelli che non seguivano tali account.
I risultati dello studio
Questi i risultati più significativi dello studio:
- Riduzione del volume di disinformazione: dopo la rimozione di circa 70.000 account legati al movimento radicale di destra QAnon, il numero di tweet contenenti disinformazione è diminuito drasticamente. Questo suggerisce che gli account rimossi erano tra i principali diffusori di tali contenuti.
- Calo delle interazioni: anche le interazioni con i contenuti che contenevano disinformazione sono diminuite, indicando una minore esposizione del pubblico a questo tipo di messaggi.
- Effetto spillover: non solo la disinformazione è diminuita tra gli utenti direttamente colpiti dal deplatforming, ma anche tra gli altri utenti di Twitter, provocando un effetto a catena sulla riduzione della disinformazione.
- Durata dell’effetto: nel tempo, la presenza complessiva di disinformazione su Twitter è continuata a diminuire, mostrando un effetto duraturo del deplatforming.
I risultati dello studio evidenziano quindi l’importanza delle politiche di moderazione delle piattaforme social.
Cos’è il Deplatforming
Deplatforming è il termine utilizzato per descrivere la rimozione o il ban di un individuo o di un gruppo da una piattaforma di social media o da un servizio online. Questo viene fatto generalmente per impedire a queste persone di diffondere disinformazione, incitare all’odio, promuovere violenza o violare altre linee guida della piattaforma.
Una delle principali critiche al deplatforming riguarda la libertà di espressione. Alcuni che sostengono che bandire account possa limitare il dibattito pubblico e la diversità di opinioni.
Rispetto poi all’efficacia della pratica, alcuni sostengono che sul lungo periodo gli utenti trovano nuovi modi per aggirare i ban o spostano la loro attività su altre piattaforme.
La pratica del deplatforming, sebbene controversa, si è dimostrata un metodo efficace per contenere la disinformazione e proteggere l’integrità dei contenuti e delle informazioni condivise.
Deplatforming e libertà di espressione
Questo pone una domanda cruciale su come le piattaforme possano bilanciare la libertà di espressione con la necessità di prevenire la diffusione di disinformazione che possono avere conseguenze gravi.
Kevin M. Esterling, professore di scienze politiche e politiche pubbliche presso l’Università della California a Riverside e coautore dello studio, ha sottolineato che l’effetto spillover ha ridotto la circolazione della disinformazione su tutta la piattaforma.
David Lazer ha aggiunto che i risultati dello studio rimangono validi anche se si escludono gli effetti della sospensione dell’account di Donald Trump.
Un nuovo Capitol Hill oggi?
Ma se oggi si verificasse un evento simile a quello di Capitol Hill, come si comporterebbero le piattaforme? Come si comporterebbe X di Elon Musk?
Da quando Elon Musk è diventato il proprietario della piattaforma, molti account precedentemente banditi sono stati riabilitati. Inclusi quelli di Donald Trump e Alex Jones.
Oggi la piattaforma è molto diversa e implementa una policy molto diversa da Twitter. Una pratica di deplatforming come quella del passato sarebbe quasi irripetibile. La disinformazione su X è aumentata, il team di sicurezza precedente è stato smantellato e quasi tutto viene demandato alle “Note della Collettività“.
Inoltre, non sarebbe più possibile effettuare una ricerca simile a quella di cui stiamo parlando, almeno non nelle stesse modalità.
X non fornisce più accesso gratuito alla sua interfaccia di programmazione delle applicazioni (API), rendendo l’accesso ai dati molto costoso.
La ricerca, pur con i suoi diversi limiti, è molto interessante. Fornisce una evidenza del fatto che la rimozione di account dediti alla condivisione di notizie false può significativamente ridurre la diffusione della disinformazione.
Alla luce di questi dati sarebbe opportuno sviluppare una riflessione più profonda rispetto alle responsabilità delle piattaforme digitali. Riflessione che riguardi anche la loro forza nel proteggere gli utenti dal proliferare di contenuti con informazioni fuorvianti e dannose.