Come ormai abbiamo imparato bene in questi anni, specie negli ultimi 2/3 anni, i dati assumono sempre più importanza. Vuoi per il fatto che è aumentato l’uso del digitale a livello generale e globale, vuoi per il fatto che sono aumentate le fonti che rilasciano dati. Aggiungiamo anche l’intelligenza artificiale, da questo punto di vista.
I dati aumentano, sappiamo quanto siano preziosi e quanto sia fondamentali, oggi, per la crescita delle economie dei paesi. Senza voler sembrare esagerati, dai dati passa il progresso moderno.
Del resto, lo diceva Clive Humby nel 2006 quando coniò la frase “I dati sono il nuovo petrolio“. Frase che venne poi completata da Michael Palmer, sempre nello stesso anno: “i dati sono preziosi, ma se non raffinati non possono essere realmente utilizzati. [Il petrolio] deve essere trasformato in gas, plastica, prodotti chimici, ecc. per creare un’entità preziosa che guidi attività redditizie; quindi, i dati devono essere scomposti e analizzati affinché abbiano valore“.
Ecco, adesso ci troviamo in una fase più matura. Le aziende ormai, a distanza di anni, riconoscono l’importanza dei dati e ci avviciniamo a quella fase che viene definita data maturity.
Per data maturity si intende un processo composto da più fasi della transizione di un’azienda dall’inconsapevolezza dei dati all’alfabetizzazione dei dati stessi.
Cosa si intende per Data Maturity
La data maturity è il livello di qualità, usabilità e completezza dei dati. È una misura dell’efficacia delle pratiche di gestione dei dati ed è diventata sempre più importante nell’era dei Big Data. La “maturità dei dati” può essere utilizzata per valutare la qualità dei dati e identificare le aree in cui è possibile apportare miglioramenti. Può anche fornire indicazioni su come i dati vengono raccolti, archiviati e utilizzati, e su come possono essere gestiti e sfruttati meglio per raggiungere i risultati aziendali desiderati. La data maturity è un elemento chiave del processo decisionale guidato dai dati ed è essenziale per le organizzazioni che vogliono massimizzare il valore dei propri dati.
Va sottolineato che il processo di miglioramento della data maturity dovrebbe coinvolgere l’intera azienda piuttosto che solo un reparto dati specializzato.
"I dati cresceranno del 100% entro i prossimi tre anni".
Apre così la giornata @Paolo_Delgrosso di @HPE_IT.
La #DigitalTransformation é essenziale e i dati acquistano sempre più valore#HPE #tech pic.twitter.com/llwlYMEd4D— Franz Russo (@franzrusso) April 12, 2023
Ma esistono delle situazioni variegate tra le aziende se le osserviamo da questo punto di vista. E i dati che stiamo per vedere insieme confermano questo andamento.
HPE (Hewlett Packard Enterprise) negli ultimi giorni ha presentato i risultati del sondaggio globale che mostrano che la mancanza di data maturity ostacola sia il settore privato sia quello pubblico nel raggiungimento di obiettivi chiave, come l’aumento delle vendite o il progresso nella sostenibilità ambientale.
L’indagine, condotta da YouGov per conto di HPE su oltre 8.600 decision maker di tutti i settori privati e pubblici in 19 paesi, rivela che il livello medio di data maturity delle organizzazioni, ovvero la loro capacità di creare valore dai dati, è di 2,6 su una scala di 5, dove solo il 3% raggiunge il livello di maturità più elevato. In questo contesto, il dato relativo all’Italia riflette quello mondiale.
Il modello di #datamaturity di #HPE. #data #tech pic.twitter.com/6VBbBFNCbL
— Franz Russo (@franzrusso) April 12, 2023
Il sondaggio si basa su un modello di maturità sviluppato da HPE che valuta la capacità di un’organizzazione di creare valore dai dati sulla base di criteri strategici, organizzativi e tecnologici.
Il livello di maturità più basso è chiamato “data anarchy”: a questo livello, i pool di dati sono isolati l’uno dall’altro e non vengono analizzati sistematicamente per generare insight o risultati. Il livello più alto è chiamato “data economics”: a questo livello, un’organizzazione sfrutta strategicamente i dati per ottenere risultati, sulla base di un accesso unificato a fonti di dati interne ed esterne che vengono analizzate con sistemi di analytics avanzati e di intelligenza artificiale.
I risultati del sondaggio rivelano che il 14% delle organizzazioni si trova al livello di maturità 1 (data anarchy), il 29% al livello 2 (data reporting), il 37% al livello 3 (data insights), il 17% al livello 4 (data centricity) e solo il 3% è al livello 5 (data economics).
In Italia si registrano dati simili: data anarchy 13%, data reporting 31%, data insights 34%, data centricity 17%, data economy 4%.
La mancanza di capacità di gestione e valorizzazione dei dati, a sua volta, limita la capacità delle organizzazioni di raggiungere obiettivi chiave come l’aumento delle vendite (30%), l’innovazione (28%), il miglioramento della customer experience (24%), il miglioramento della sostenibilità ambientale (21%) e l’aumento dell’efficienza interna (21%).
"Il #Cloud deve offrire un'esperienza semplice, intuitiva e automatizzata", lo spiega @rigoldip sottolineando l'importanza strategica dei dati per le aziende in questa fase#HPE #tech pic.twitter.com/CljdoVkLlI
— Franz Russo (@franzrusso) April 12, 2023
Per quanto riguarda l’Italia sono stati rilevati i seguenti dati: aumento delle vendite 34%, innovazione 32%, miglioramento della customer experience 23%, il miglioramento della sostenibilità ambientale 17%, l’aumento dell’efficienza interna 20%.
Il sondaggio fornisce una visione dettagliata dei gap strategici, organizzativi e tecnologici che le organizzazioni devono colmare per sfruttare i dati come asset lungo tutta la value chain. Tra le principali evidenze:
- Solo il 13% degli intervistati afferma che la data strategy della propria organizzazione è una parte fondamentale della strategia aziendale.
- Quasi la metà degli intervistati (48% – in Italia 33%) afferma che la propria organizzazione non alloca alcun budget per iniziative relative ai dati o finanzia solo occasionalmente iniziative relative ai dati tramite il budget IT.
- Solo il 28% (in Italia il 29%) degli intervistati ha confermato che la propria organizzazione ha un focus strategico su prodotti o servizi data-driven.
- Quasi la metà degli intervistati afferma che le proprie organizzazioni non utilizzano metodologie come il machine learning o il deep learning, ma si affidano a fogli di calcolo (29% – in Italia 34%) o business intelligence e report preconfezionati (18% – in Italia 15%) per l’analisi dei dati.
La creazione di valore dai dati richiede anche l’aggregazione di dati o insight provenienti da diverse applicazioni, location o spazi dati esterni.
Ad esempio, i dati di telemetria generati dai sensori dei prodotti venduti possono aiutare il reparto R&S di un produttore ad allineare meglio la successiva generazione di prodotti alle esigenze dei clienti. Allo stesso modo, la condivisione tra strutture sanitarie degli insight generati dai dati dei pazienti può far progredire la diagnostica medica.
Una caratteristica legata a un basso livello di data maturity è che non esiste un’architettura globale di dati e analisi: i dati sono isolati in singole applicazioni o posizioni. Questo è il caso del 34% (in Italia 39%) degli intervistati. D’altra parte, solo il 19% (in Italia 14%) ha implementato un data hub o fabric centrale che fornisce accesso unificato ai dati in tempo reale in tutta l’organizzazione e un altro 8% (in Italia 13%) afferma che questo data hub include anche fonti di dati esterne.
Considerato che le fonti di dati sono sempre più distribuite tra cloud ed edge, la maggior parte degli intervistati (62% – in Italia 63%) afferma che è strategicamente importante avere un alto grado di controllo sui propri dati e mezzi per estrarne valore.
Più della metà dei rispondenti (52% – in Italia 48%) teme che i soggetti che detengono i monopoli dei dati abbiano un controllo eccessivo sulla loro capacità di creare valore e il 39% (in Italia 26%) sta rivalutando la propria strategia cloud a causa dell’aumento dei costi (42% – in Italia 40%), delle preoccupazioni sulla sicurezza (37% – in Italia 26%), della necessità di un’architettura più flessibile (37% – in Italia 29%) e della carenza di controllo sui propri dati (32% – in Italia 26%).
In conclusione, la data maturity nel 2023 sarà molto diversa. Le aziende sfrutteranno il potenziale dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico per utilizzare i dati in modi sempre più significativi.
I dati saranno più accessibili, con l’emergere di nuove fonti di dati e la capacità di integrare gli stessi in modo più rapido ed efficiente. Tutto questo si tradurrà in migliori intuizioni di business e previsioni più accurate, consentendo alle aziende di prendere le decisioni migliori.
Anche le misure di sicurezza e di privacy saranno più rigorose, per garantire che i dati siano tenuti al sicuro e utilizzati in modo responsabile. Le aziende sono sempre più consapevoli di sfruttare i dati per creare esperienze migliori per i propri clienti, favorire la crescita e migliorare le operazioni. Con gli strumenti e le strategie giuste, la data maturity già in questo anno sarà una risorsa enorme per le aziende.