Il caso Cambridge Analytica continua a generare conseguenze per Facebook. E dopo aver migliorato la sezione per la gestione della privacy, Facebook decide di non rendere più disponibili agli inserzionisti i dati di terze parti per gli annunci pubblicitari.
Il caso Cambridge Analytica continua a tenere banco e genera ancora conseguenze, inevitabili per certi versi. E dopo aver migliorato la sezione per la gestione della privacy, riunendo gli strumenti in un unico cruscotto, Facebook decide di non rendere più disponibili agli inserzionisti i dati di terze parti per gli annunci pubblicitari. Una decisione che è proprio diretta conseguenza del caso Cambridge Analytica.
In pratica, Facebook non permetterà più l’utilizzo dei dati messi a disposizione da “data broker” come Experian, Acxiom, Oracle Data Cloud, Datalogix, Epsilon e BlueKai agli inserzionisti all’interno delle Categorie Partner. Tanto per spiegare in parole povere di cosa si tratta, Facebook utilizza i dati di terze parti per intergrare il proprio set di dati, quando poi i marketer, quindi coloro che gestiscono una campagna di marketing, prendono in uso i dati di Facebook per le proprie attività e veicolari i propri annunci, Facebook riconosceva una parte degli introiti proprio a questi broker di dati. Un meccanismo che, come abbiamo visto per il caso Cambridge Analytica, potrebbe non essere sicuro. E infatti, da qui la decisione di Facebook.
Come spiegato da Kurt Wagner su Recode, Facebook permetteva agli inserzionisti l’utilizzo di dati provenienti da tre fonti:
- Dati propri di Facebook, ossia i dati che il social network raccoglie dagli utenti;
- Dati dell’inserzionista, cioè i dati che l’inserzionista possiede da sè, come gli indirizzi email dei clienti;
- Dati provenienti da terze parti, i dati di Experian, ad esempio, con il meccanismo che abbiamo visto poco sopra;
Proprio quest’ultima categoria di dati, quindi, non sarà più utilizzabile per gli annunci pubblicitari.
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Facebook dunque corre ai ripari prendendo una decisione che, evidentemente, non ha grosse ricadute economiche. E anche se fosse, per Facebook è meglio agire in questa direzione che rischiare un nuovo caso Cambridge Analytica. Già, perchè se Facebook avesse agito in questo modo ancora prima del 2015, lo scandalo che abbiamo visto in questi giorni, con un’azienda che ha raccolto i dati di 50 milioni di persone, non sarebbe successo.