Quando si parla di aree tecnologicamente avanzate e di startup si è soliti pensare, a ragione, alla Silicon Valley. Ma esiste anche un altra “Silicon”, dall’alta parte del mondo ed è la Silicon Wadi, in Israele, più precisamente nei dintorni di Tel Aviv. Vediamo allora insieme 4 lezioni che noi italiani potremmo imparare dall’ecosistema israeliano.
Quando si parla di tecnologia all’avanguardia, di startup di successo o di dispositivi intelligenti, spesso si pensa e si fa riferimento alla fervente Silicon Valley, soprannome dato alla porzione meridionale della Bay Area di San Francisco, nella parte nord della California. Esiste, però, dall’altra parte del mondo, un altro luogo noto per l’aggettivo “Silicon” che pur essendo collocato a centinaia di chilometri di distanza, concorre con la celebre valle americana.
Si tratta della Silicon Wadi, e si trova in Israele, più precisamente nei dintorni di Tel Aviv – Wadi, infatti, in ebraico significa valle.
Oggi, la Silicon Wadi risulta essere uno dei distretti mondiali con la maggiore concentrazione di startups e di aziende tech – ad oggi si contano quasi 8.000 startups attive in Israele, la maggior parte ha sede a Tel Aviv. Nonostante queste cifre siano già abbastanza impressionanti, ciò che fa ulteriormente riflettere è la rapidità con la quale la Silicon Wadi è cresciuta ed ha continuato ad espandersi. Nata solamente negli anni ‘60 e cresciuta esponenzialmente grazie, soprattutto, agli incentivi statali ricevuti a partire dagli anni ‘90, l’industria tech israeliana oggi è una tra le più promettenti a livello mondiale.
I dati e numeri dell’ecosistema hi-tech italiano, purtroppo, sono ancora molto lontani dal competere con quelli israeliani. Le startup hi-tech italiane stanno, infatti, ancora muovendo i primi passi sia per quanto riguarda le possibilità di innovazione sia per ciò che concerne la capacità di attirare effettivi finanziamenti.
Nonostante, infatti, il numero di aziende sparse sul territorio nazionale sia promettente – ad oggi ve ne sono più di 7mila – il vero tasto dolente è rappresentato dalle dimensioni della maggior parte di esse e dai principali settori nei quali queste aziende operano. Tra le 7mila aziende italiane, infatti, sono pochissime quelle che presentano un fatturato degno di nota e meno di una su tre startup sono attive nella produzione di software e nell’informatica. I problemi principali annessi all’ecosistema startup italiano sembrano quindi essere legati alla crescita e all’innovazione. L’ecosistema hi-tech israeliano può diventare quindi uno spunto di riflessione e, magari, anche un esempio per l’ancora giovane industria tecnologica italiana.
Ecco quindi, di seguito elencate, 4 preziose lezioni che l’Italia può imparare dall’industria hi-tech israeliana:
1 – Nessuna circostanza esterna, di qualunque entità essa sia, deve essere considerata motivo di interruzione
Durante la vasta esplosione tecnologica israeliana che ha caratterizzato i due decenni appena trascorsi, il paese è stato tormentato da una situazione socio-politica del tutto avversa – attacchi terroristici e conflitti politico-militari sono infatti all’ordine del giorno in queste terre.
È stato, ed è tuttora, indispensabile che tutto proceda nella norma anche e, a maggior ragione, durante momenti altamente critici come questi. Nello specifico, durante i numerosi conflitti in Israele, gran parte delle nascenti startup israeliane si sono viste privare di figure chiave all’interno dell’azienda, essendo questi ultimi chiamati a prestare servizio militare. Tuttavia, questi due decenni di instabilità socio-politica, hanno portato ad una crescente innovazione ed aumento di capitali investiti che hanno ecceduto un miliardo di dollari per trimestre. Inoltre, la costante paura causata dalle tensioni militari in atto, ha contribuito a creare una mentalità fondata sul “carpe diem” che influenza l’atteggiamento collettivo nei confronti della vita e che spiega la maggiore predisposizione al rischio, tipica degli israeliani, sia sul mondo del lavoro che nella vita privata.
Morale della favola: considerare qualsiasi sfida come fonte di motivazione, non come un’occasione per gettare la spugna. So che suona scontato e più facile da dirsi che a farsi, ma è una lezione che spesso si dimentica con troppa facilità.
2 – Ricaricare le batterie è una necessità, non un lusso
Lo stereotipo dell’italiano all’estero è spesso costruito intorno alla capacità di godersi a pieno le proprie giornate, facendo passare l’aspetto lavorativo in secondo piano rispetto all’amore per il buon cibo, il caffè ed il calcio. Se, da una parte, è dura contraddire lo stereotipo dell’italiano che apprezza le piccole gioie della vita, dall’altra mi riesce difficile pensare all’Italia come un paese che “non lavora abbastanza”. Lo stacanovismo sul lavoro in Italia è di casa, sia quando si tratta di far funzionare aziende di una certa entità, sia quando è necessario impiegare tutte le forze in campo per far muovere i primi passi ad una nascente startup. Questo porta, molto spesso a lavorare più del dovuto, dimenticandosi del vero senso della domenica per esempio, come giorno di riposo, o delle altre festività nelle quali si dovrebbe semplicemente imparare a staccare la spina per qualche giorno.
Nella cultura ebraica d’Israele, tuttavia, il riposo non è un lusso che solo in pochi si possono permettere, ma una regola che viene rispettata collettivamente. Lo Shabbat – ovvero le 25 ore che vanno dal tramonto del venerdì fino a alla sera del sabato – in Israele viene da tutti, religiosi e non, rispettato come un vero e proprio giorno di riposo ed è difficile trovare qualche azienda aperta durante queste ore “sacre”. Lo stesso vale per le principali festività ebraiche, che vengono considerate un’importante occasione per passare del tempo con la propria famiglia, lontani il più possibile dal lavoro. Il riposo “forzato”, secondo la mentalità israeliana, favorirebbe un’aumentata produttività sul lavoro, poiché si sa che le soddisfazioni nella vita privata hanno un’enorme influenza su creatività ed ingegno nella vita professionale.
3 – Ogni voce è importante
L’Italia è, tuttora, fondata su solide strutture burocratiche che ne determinano l’organizzazione sociale e politica. Lo stesso vale per le aziende che in Italia, per la maggior parte, sono ancor oggi fortemente strutturate e fondate su protocolli formali. L’ecosistema hi-tech Israeliano, però, ci insegna che per abbattere ostacoli di tipo burocratico, bisogno innanzitutto alleggerire le strutture interne all’azienda. Le startup israeliane, infatti, si caratterizzano per l’essere il meno strutturate possibile – anche se, ovviamente, una struttura base è necessaria per definire funzioni e ruoli – ed il meno dipendenti possibile da protocolli burocratici e formalità.
Oltre ad avere un’organizzazione interna più semplificata, le startup israeliane spronano ciascun collaboratore a dare voce alle proprie idee, anche nel caso in cui le opinioni di quest’ultimi dovessero essere in contrasto con quelle di manager aziendali o di collaboratori che si trovano in posizioni di livello più alto rispetto alla loro.
Questo tipo di cultura, meno gerarchica e più terra-a-terra rispetto a quella italiana, garantisce innanzitutto un contesto lavorativo più armonioso e, inoltre, riduce le probabilità che i dipendenti si astengano dal condividere le loro idee, spesso preziose, per la semplice paura di essere criticati.
4 – L’unione fa la forza
Che “l’unione faccia la forza” è un concetto ormai assodato. Il problema legato a quest’idea, però, è che invece di diventare un fatto spesso rimane piuttosto un bel modo di dire. Alcuni appartenenti a determinate culture o paesi sono intrinsecamente più legati l’un l’altro rispetto ad altri nel resto del mondo. Le cause sono molteplici – la loro storia, un senso di patriottismo più consolidato, il sentirsi una minoranza rispetto al resto del mondo, ecc. Purtroppo, in Italia il senso di appartenenza non è così forte come lo è in altre culture e la società tende ad essere per lo più individualistica. Se questo orientamento all’individualismo può giovare ad alcuni aspetti della vita privata, non porta invece beneficio quando influenza il contesto lavorativo. Essere più legati agli altri nella vita privata, ha degli effetti positivi anche sul mondo del lavoro.
Israele è proprio uno di quei paesi dove i legami interpersonali sono molto forti, innanzitutto nella sfera privata, traducendosi poi in legami lavorativi duraturi. Si dice che ci siano solo due gradi di separazione tra un israeliano ed un altro, e non è una affatto una leggenda. Questi legami consolidati non sono semplicemente dovuti al fatto che Israele sia un paese molto piccolo, ma dipendono in primo luogo dal servizio militare obbligatorio, dove i ragazzi israeliani si trovano a prestare servizio con connazionali provenienti da città e gruppi sociali estremamente diversi. Questo si traduce nella creazione di legami interpersonali tra gruppi sociali totalmente opposti, che si traduce in una minore distanza tra gli individui.
I legami interpersonali sono alla base di tutto, bisogna semplicemente essere in grado di collegare tutti gli elementi a disposizione se si vuole dare vita a qualcosa di nuovo.
Un post diverso dal solito. Sul pezzo, senza dubbio. Ma anche con idee e stimoli per far lavorare il [proprio] cervello.
Cosa sempre utile, per la sopravvivenza (della specie).
Che dire? Anzitutto un grande GRAZIE! 🙂
Grazie mille per il commento, Alberto! Sono contenta che tu abbia trovato l’articolo interessante e soprattutto stimolante! 🙂 il bello di vivere in un altro paese è, proprio come dici tu, fare tesoro della nuova cultura e prenderne spunto per migliorarci.
Grazie ancora per il feedback!