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Donne e IA, un divario da colmare nel 2025

Le donne sono ancora sotto rappresentate nel mondo della IA, con conseguenze su equità e qualità dei modelli. Bias di genere e stereotipi già radicati si rafforzano. Serve più inclusione e consapevolezza per un’IA equa.

L’Intelligenza Artificiale sta trasformando il mondo, ma dietro le meraviglie della tecnologia si cela un problema ancora troppo poco dibattuto: la scarsa presenza delle donne in questo settore.

Non si tratta solo di una questione di numeri, ma di un fenomeno che ha ripercussioni profonde sulla qualità e sull’equità dei modelli di IA che plasmano il nostro futuro.

Il gender gap nel settore della IA

I dati parlano chiaro. A livello globale, solo il 22% dei professionisti dell’Intelligenza Artificiale sono donne. Se restringiamo l’analisi alla produzione scientifica, la situazione peggiora: appena il 13,83% degli autori di pubblicazioni AI sono donne e solo il 18% dei relatori nelle principali conferenze internazionali sul tema è di sesso femminile.

In Italia, il divario è ancora più marcato: le donne rappresentano solo il 16% degli sviluppatori, una percentuale inferiore alla media europea del 18,9%.

Solo la Francia fa peggio dell’Italia con una presenza pari al 15%.

Questa sotto rappresentazione ha un impatto diretto sulla progettazione e sull’applicazione dei modelli di Intelligenza Artificiale. Meno diversità significa, infatti, meno prospettive differenti nel processo decisionale. Con il rischio concreto di perpetuare discriminazioni e stereotipi.

Donne e IA, un divario da colmare nel 2025
Donne e IA un divario da colmare nel 2025

Il bias di genere nei modelli di Intelligenza Artificiale

Quando un algoritmo viene addestrato su dati raccolti prevalentemente da uomini o progettati da team con scarsa diversità, il rischio di bias di genere diventa inevitabile.

Recenti studi hanno dimostrato che i modelli di IA tendono a riprodurre e amplificare stereotipi di genere.

Ecco alcuni esempi:

  • Gli assistenti virtuali come Siri e Alexa, tradizionalmente con voci femminili, vengono spesso programmati per essere docili e servizievoli, consolidando ruoli stereotipati.
  • Alcuni software di selezione del personale basati su IA hanno mostrato preferenze per candidati uomini, penalizzando le donne nei processi di assunzione.
  • Nella generazione di immagini basata su IA, professioni come “ingegnere” o “scienziato” vengono spesso associate a figure maschili, mentre ruoli come “insegnante” o “infermiere” sono prevalentemente femminili.

Queste distorsioni non sono semplici anomalie, ma conseguenze dirette di un ecosistema tecnologico in cui la presenza femminile è limitata.

Le donne si fidano sempre meno della IA

La fiducia nell’IA è minata proprio da questi bias. Molte donne guardano con sospetto a queste tecnologie, temendo che possano rafforzare le disuguaglianze di genere invece di ridurle.

Il rischio è che questa sfiducia allontani ulteriormente le donne dal settore tecnologico, creando un circolo vizioso in cui la scarsa rappresentanza alimenta modelli distorti e viceversa.

Come rendere la IA sempre più equa e inclusiva

Cosa si può fare per colmare questo divario? Alcune soluzioni sono chiare:

  • Più donne nei team AI: incentivare l’accesso delle donne alle discipline STEM e promuovere la loro partecipazione nei ruoli decisionali.
  • Dati più inclusivi: garantire che i dataset su cui vengono addestrati gli algoritmi siano rappresentativi dell’intera popolazione.
  • Maggiore consapevolezza: riconoscere e affrontare attivamente i bias nei modelli di IA, evitando che diventino la norma.

L’Intelligenza Artificiale non è un’entità neutrale: è il risultato di scelte umane. E se vogliamo che sia davvero uno strumento di progresso per tutti, è fondamentale che queste scelte siano guidate dalla diversità e dall’inclusione.

[L’immagine di copertina e quella che accompagna le condivisioni sui canali social è stata realizzata da @franzrusso utilizzando il modello di IA generativa Dall-E 3]

 

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Franz Russo Blogger, Digital Strategist
Franz Russo, fondatore, nel 2008, del blog InTime, ho collaborato con grandi aziende nazionali e internazionali, come consulente per strategie di comunicazione e come divulgatore. Da sempre impegnato nella comunicazione digitale, cerco di unire sempre una profonda passione per l’innovazione tecnologica a una visione olistica dell’evoluzione dei social media e degli strumenti digitali. Il mio percorso professionale in questo campo, iniziato nel 2007, è stato caratterizzato da un costante impegno nel raccontare e interpretare i cambiamenti nel panorama digitale. Il mio approccio si basa su un mix di analisi strategica, creatività e un profondo impegno per il racconto e la divulgazione.
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