Le donne sono ancora sotto rappresentate nel mondo della IA, con conseguenze su equità e qualità dei modelli. Bias di genere e stereotipi già radicati si rafforzano. Serve più inclusione e consapevolezza per un’IA equa.
L’Intelligenza Artificiale sta trasformando il mondo, ma dietro le meraviglie della tecnologia si cela un problema ancora troppo poco dibattuto: la scarsa presenza delle donne in questo settore.
Non si tratta solo di una questione di numeri, ma di un fenomeno che ha ripercussioni profonde sulla qualità e sull’equità dei modelli di IA che plasmano il nostro futuro.
Il gender gap nel settore della IA
I dati parlano chiaro. A livello globale, solo il 22% dei professionisti dell’Intelligenza Artificiale sono donne. Se restringiamo l’analisi alla produzione scientifica, la situazione peggiora: appena il 13,83% degli autori di pubblicazioni AI sono donne e solo il 18% dei relatori nelle principali conferenze internazionali sul tema è di sesso femminile.
In Italia, il divario è ancora più marcato: le donne rappresentano solo il 16% degli sviluppatori, una percentuale inferiore alla media europea del 18,9%.
Solo la Francia fa peggio dell’Italia con una presenza pari al 15%.
Questa sotto rappresentazione ha un impatto diretto sulla progettazione e sull’applicazione dei modelli di Intelligenza Artificiale. Meno diversità significa, infatti, meno prospettive differenti nel processo decisionale. Con il rischio concreto di perpetuare discriminazioni e stereotipi.
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Il bias di genere nei modelli di Intelligenza Artificiale
Quando un algoritmo viene addestrato su dati raccolti prevalentemente da uomini o progettati da team con scarsa diversità, il rischio di bias di genere diventa inevitabile.
Ecco alcuni esempi:
- Gli assistenti virtuali come Siri e Alexa, tradizionalmente con voci femminili, vengono spesso programmati per essere docili e servizievoli, consolidando ruoli stereotipati.
- Alcuni software di selezione del personale basati su IA hanno mostrato preferenze per candidati uomini, penalizzando le donne nei processi di assunzione.
- Nella generazione di immagini basata su IA, professioni come “ingegnere” o “scienziato” vengono spesso associate a figure maschili, mentre ruoli come “insegnante” o “infermiere” sono prevalentemente femminili.
Queste distorsioni non sono semplici anomalie, ma conseguenze dirette di un ecosistema tecnologico in cui la presenza femminile è limitata.
Le donne si fidano sempre meno della IA
La fiducia nell’IA è minata proprio da questi bias. Molte donne guardano con sospetto a queste tecnologie, temendo che possano rafforzare le disuguaglianze di genere invece di ridurle.
Il rischio è che questa sfiducia allontani ulteriormente le donne dal settore tecnologico, creando un circolo vizioso in cui la scarsa rappresentanza alimenta modelli distorti e viceversa.
Come rendere la IA sempre più equa e inclusiva
Cosa si può fare per colmare questo divario? Alcune soluzioni sono chiare:
- Più donne nei team AI: incentivare l’accesso delle donne alle discipline STEM e promuovere la loro partecipazione nei ruoli decisionali.
- Dati più inclusivi: garantire che i dataset su cui vengono addestrati gli algoritmi siano rappresentativi dell’intera popolazione.
- Maggiore consapevolezza: riconoscere e affrontare attivamente i bias nei modelli di IA, evitando che diventino la norma.
L’Intelligenza Artificiale non è un’entità neutrale: è il risultato di scelte umane. E se vogliamo che sia davvero uno strumento di progresso per tutti, è fondamentale che queste scelte siano guidate dalla diversità e dall’inclusione.
[L’immagine di copertina e quella che accompagna le condivisioni sui canali social è stata realizzata da @franzrusso utilizzando il modello di IA generativa Dall-E 3]