Da non averlo visto arrivare a non vederlo più il passo è breve. Il caso DeepSeek solleva nuovamente il grande problema di come gli utenti curano i propri dati.
Da non averlo visto arrivare a non vederlo più il passo è davvero breve. Ed è quello che è successo a DeepSeek, almeno in Italia.
Negli ultimi giorni, la rapida diffusione di DeepSeek, il nuovo modello di intelligenza artificiale cinese, ha scatenato un acceso dibattito sulla privacy.
Molti utenti e commentatori hanno lanciato l’allarme, mettendo in guardia sui potenziali rischi per la sicurezza dei dati personali. E invitando a non scaricare l’app per evitare esposizioni indesiderate.
Ma fermiamoci un attimo: il vero problema è solo DeepSeek, o stiamo dimenticando qualcosa di più grande?
Il problema non è solo DeepSeek
Ogni volta che emerge una nuova tecnologia, soprattutto se proveniente dalla Cina, il dibattito sulla privacy si riaccende. L’impressione è che questa preoccupazione sembra essere poco consapevole della situazione.
Se un utente teme che DeepSeek possa accedere ai suoi dati, ma nel frattempo ha installato sul proprio smartphone applicazioni ben più invasive come TikTok, allora il vero problema non è la singola app. Ma la mancanza consapevolezza rispetto alla protezione dei propri dati personali.
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E dove sono i nostri dati?
I nostri dati non sono custoditi in un luogo sicuro e isolato. Sono già ovunque nelle mani di aziende di tutto il mondo.
Stati Uniti, Cina, India, Europa: chiunque operi nel settore digitale ha accesso a informazioni personali raccolte attraverso app, piattaforme digitali e servizi online.
Se ci preoccupiamo di DeepSeek, dovremmo allora preoccuparci di ogni altra piattaforma che già raccoglie e utilizza i nostri dati quotidianamente.
TikTok, un caso eclatante di raccolta dati
Un esempio chiaro di questa scarsa consapevolezza è TikTok.
Molti utenti allarmati da DeepSeek usano senza problemi TikTok, ignorando che si tratta di una delle app più invasive dal punto di vista della raccolta dati.
Uno studio del 2023 ha rivelato che TikTok condivide il proprio SDK con circa 28.000 applicazioni.
Questo significa che l’app non solo raccoglie enormi quantitativi di dati dai propri utenti, ma ha accesso anche alle informazioni provenienti da una rete vastissima di applicazioni che integrano il suo kit di sviluppo.
In altre parole, i dati degli utenti finiscono in un ecosistema molto più ampio di quanto si possa immaginare.
Inoltre, TikTok ha un livello di accesso ai dispositivi particolarmente elevato, soprattutto nella versione Android.
Alcune analisi di esperti di cybersecurity hanno evidenziato come l’APK dell’app possa raccogliere informazioni dettagliate sul comportamento dell’utente, sui dispositivi utilizzati, sulla rete Wi-Fi e persino sui dati copiati negli appunti.
Il vero problema: la mancanza di consapevolezza
Il caso DeepSeek evidenzia un problema che va ben oltre il singolo modello AI. La vera questione non è tanto chi raccoglie i nostri dati, ma come noi stessi li proteggiamo (o meglio, non li proteggiamo).
Infatti, spesso
- accettiamo cookie e tracking senza leggere le informative;
- creiamo account su siti e piattaforme digitali senza pensare alla condivisione dei dati;
- concediamo autorizzazioni indiscriminatamente ad app che raccolgono informazioni ben oltre quanto necessario;
- utilizziamo servizi gratuiti senza chiedersi quale sia il modello di business che li finanzia.
Questa leggerezza porta a una situazione paradossale. Ci si allarma per DeepSeek, ma nel frattempo si cedono dati a decine di altre piattaforme senza alcuna preoccupazione.
La privacy è un problema di consapevolezza
Se vogliamo davvero proteggere la nostra privacy, dobbiamo smettere di reagire in modo selettivo e impulsivo di fronte a nuovi attori digitali.
Il problema non è solo la Cina, gli Stati Uniti o qualsiasi altra nazione che sviluppi tecnologia avanzata. Il primo problema è la nostra incapacità di gestire i dati in modo responsabile.
È la nostra mancanza di consapevolezza e la facilità con cui cediamo informazioni sensibili senza riflettere sulle conseguenze a creare i primi grandi problemi.
La vera sfida è allenarci a una gestione più responsabile della nostra identità digitale.