Nel 2025 i social media assorbono ancora oltre 2 ore al giorno del nostro tempo, guidati dagli algoritmi del proprietario. Ma esiste un’alternativa: la sfida dei prosocial, piattaforme che puntano su dialogo sano e comunità autentiche.
Nel 2025 il nostro rapporto con i social media si fa sempre più complesso. Le piattaforme continuano a dominare il nostro tempo e a influenzare profondamente il modo in cui ci informiamo, interagiamo e, in ultima analisi, viviamo la nostra quotidianità digitale. Ma qualcosa sta cambiando.
I dati ci raccontano un fenomeno che ormai non possiamo più ignorare: il tempo che trascorriamo online è diventato la risorsa più preziosa, ma al contempo cresce la consapevolezza degli effetti negativi di questo modello.
E così emergono nuove piattaforme che provano a rispondere a queste criticità, dando vita a quello che potremmo definire il fenomeno dei prosocial media.
I dati rilevanti di We Are Social sui social media
Partiamo dai numeri più aggiornati. Il recente report “Digital 2025” di We Are Social, realizzato insieme a Meltwater, offre come sempre uno sguardo dettagliato sul panorama digitale globale e locale. A livello mondiale, il numero di utenti attivi sui social media ha raggiunto i 5,24 miliardi, con un incremento del 4,1% rispetto all’anno precedente. Parliamo del 63% della popolazione globale. Ma è il tempo che passiamo online a colpire: in media, le persone trascorrono 2 ore e 21 minuti al giorno sui social.
In Italia, la situazione non è molto diversa. Gli utenti attivi sono oltre 43 milioni, pari al 71% della popolazione (dati 2024, in attesa di quelli del 2025). Il tempo di utilizzo medio è inferiore alla media globale: 1 ora e 55 minuti al giorno. Le piattaforme più utilizzate restano WhatsApp, Facebook, Instagram e TikTok, con quest’ultima che continua ad attirare soprattutto i più giovani.
Questo tempo speso sulle piattaforme non è neutro. È il risultato di strategie precise da parte dei social network, progettati per massimizzare il nostro tempo di permanenza attraverso algoritmi che selezionano i contenuti più capaci di generare reazioni e interazioni.
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Algoritmo del proprietario e SNARF
È quello che ho già definito di recente come l’algoritmo del proprietario, ovvero quel meccanismo che non ci mostra ciò che realmente ci interessa, ma quello che più conviene ai proprietari delle piattaforme.
E su questo si innesta la logica SNARF: un circolo vizioso che ingabbia l’utente sulle piattaforme e lo spinge a reazioni sempre più emotive.
Di fronte a questa dinamica, sempre più persone iniziano a chiedersi se esista un’alternativa.
E una risposta potrebbe essere rappresentata dai cosiddetti prosocial media.
Cosa si intende per piattaforme prosocial media
Il termine non è solo un’etichetta per nuove piattaforme emergenti, ma è parte di una riflessione più profonda, teorica e pratica, che punta a ridefinire il modo in cui le piattaforme social vengono progettate e utilizzate.
La definizione è stata elaborata in un paper accademico pubblicato nel febbraio 2025 da Divya Siddarth, Audrey Tang e Glen Weyl, dal titolo “Prosocial Media”.
Secondo gli autori, i prosocial media rappresentano piattaforme pensate per promuovere il benessere sociale, la fiducia tra gli utenti e la coesione delle comunità, anziché basarsi esclusivamente sull’engagement come strumento di monetizzazione.
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I pilastri dei prosocial
Il paper identifica tre pilastri fondamentali per un social media prosociale:
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- Trasparenza e fiducia: le piattaforme devono essere trasparenti riguardo al funzionamento degli algoritmi e ai modelli di business adottati.
- Controllo agli utenti: gli utenti devono avere la possibilità di decidere quali contenuti vedere e come personalizzare la propria esperienza online.
- Promozione del benessere: i contenuti e le interazioni devono essere orientati a migliorare la qualità delle conversazioni e il benessere delle comunità, riducendo il peso delle dinamiche di polarizzazione e disinformazione.
Questo approccio teorico è stato sintetizzato in un articolo pubblicato su Wired da Audrey Tang, dal titolo “Embrace the Shift to ‘Prosocial Media’”, che ha contribuito a portare il dibattito su questi temi a un pubblico più ampio.
Ora, a partire da questa cornice concettuale, alcune piattaforme stanno cercando di sperimentare modelli più vicini ai principi prosociali.
WeAre8
Un esempio può essere è WeAre8, una piattaforma che elimina gli algoritmi tradizionali e condivide il 60% dei ricavi pubblicitari con gli utenti. Il suo obiettivo è creare un ambiente positivo, dove la monetizzazione non sia più legata al tempo speso online, ma a un utilizzo più consapevole. La piattaforma punta a raggiungere 100 milioni di utenti entro il 2025.
Bluesky
Un altro caso, sebbene con caratteristiche diverse, è Bluesky, la piattaforma decentralizzata che ha superato i 30 milioni di utenti a inizio 2025. Pur non essendo propriamente prosocial, Bluesky si inserisce in questa spinta verso una maggiore autonomia e trasparenza, offrendo agli utenti più controllo sui contenuti.
Queste nuove realtà, insieme a quelle che già si basano sul senso di community, non rappresentano ancora una soluzione definitiva. Ma si pone una questione fondamentale. Quale futuro attenderà le piattaforme social media? Possiamo costruire spazi digitali che favoriscano il dialogo sano e il benessere delle persone? È possibile che l’utente torni ad essere in grado di controllare meglio la propria esperienza digitale?
Ecco, la risposta a queste domande, secondo gli autori della ricerca, potrebbe essere data appunto dalle piattaforme prosocial.
A noi non resta che verificare l’evoluzione degli eventi. Perché potrebbe anche essere che queste piattaforme si trasformino in rifugi, isole digitali. E che costringeranno gli utenti ancora alla ricerca di nuove alternative.
[L’immagine di copertina, così come quelle che accompagnano la condivisione dell’articolo sui social, è realizzata da Franz Russo con il modello di IA Generativa Dall-E 3]