Secondo un recente studio condotto da Trend Micro, aumenta l’uso dei social network sul posto di lavoro. E’ un bene o un male? Domanda ormai infinita.
E’ ormai un tormentone chiedersi se usare i social network sia un bene o un male. Susan Greenfield dell’Università di Oxford ci ha detto che usare facebook, quindi i social network, fa male addirittura al cervello. Poi è arrivato uno studio dell’Università di Melbourne che diceva che usare twitter e gli altri durante le ore di lavoro migliorasse la produttività del lavoratore. Ma alla fine dei discorsi, in molte aziende usare i social network è sinonimo di “perdita di tempo”, senza sapere però che oggi il lavoro di molti è fatto anche dell’utilizzo dei social network. e infatti, questo recente studio di Trend Micro, sembra confermarlo.
L’indagine ha osservato le abitudini di 1.600 lavoratori distribuiti tra Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Giappone e ha scoperto che solo nel corso degli ultimi due anni, l’uso dei social network sul posto di lavoro è passato dal 19% al 24%. In Germania in particolare, l’uso sociale dei media sul lavoro ha visto un aumento del 10%. E ‘ancora da chiarire se questo aumento graduale, ma significativo, ha contribuito a far crescere le imprese, o se invece si è trattato di una continua perdita di tempp. Un aspetto questo che sta particolarmente a cuore ai manager, preoccupati per la sicurezza della rete e per produttività.
Se guardiamo quelli che lavorano sui portatili, questi numeri sono ancora più alti: l’8% a livello globale e il 14% in Germania. Insomma, quasi un terzo degli utenti di computer portatili in tutto il mondo, usano i social network durante le ore di lavoro.
Sembra che anche le dimensioni dell’azienda facciano la differenza. Specialmente negli Stati Uniti e Giappone, dove i lavoratori di imprese più grandi hanno molti più limiti nell’utilizzo dei social network, forse a causa di firewall o altre forme di accesso limitato. In Inghilterra e Germania, invece, i dipendenti di grandi aziende sono più inclini a navigare nel web mentre sono in ufficio.
Naturalmente, sono molti i responsabili e titolari di aziende preoccupati per la perdita di produttività e di compromettere la sicurezza della rete a causa dell’utilizzo di questi nuovi mezzi di comunicazione sociale, durante le ore di lavoro. Ma questo aumento potrebbe essere dovuto anche alla crescita dei social media marketing e altri strumenti sociali che possono comportare rallentamenti o minacce di virus. Se si provasse ad affrontare l’argomento anche da questo punto di vista ci si accorgerebbe che usare una strategia di social media per un’azienda comporta anche questo, quindi senza dare giudizi negativi pensando ai social media come perdita di tempo. E’ lavoro anche quello. Progressivamente si assisterà ad un aumento di questo fenomeno e quindi ci si dovrà misurare con questo mettendolo in relazione alle strategie di comunicazione adottate in azienda.
Continuare con la solita domanda se i social network fanno bene o fanno male durante le ore di lavoro, e di conseguenza vietarli, come spesso accade, senza considerare alcuni aspetti importanti, è una continua perdita di tempo. Piuttosto, pensiamo a usare il web in azienda, adottando le opportune strategie, lasciando da parte le chiusure pregiudiziali che portano a nulla di buono.
Ciao Franvesco,
per me è sempre un errore vietare l’accesso a internet e ai social media nelle imprese; spesso il personale è il primo promotore della comunicazione aziendale e soprattutto l’alfabetizzazione sulle tematiche online è necessaria per sopravvivere nel marketing, oggi.
Jacopo
Molto interessante questo articolo.
La questione è molto complessa e deve essere valutata attraverso una lente diversa rispetto a quella che normalmente usiamo. Noi siamo all’interno di un processo di modificazione dei nostri modi di intrattenere rapporti sociali, che sempre di più avverranno anche attraverso sistemi tecnologici. La tecnologia sarà la leva che scardinerà i nostri paradigmi di coesione sociale, con riflessi sul nostro modo di essere che sono ancora lontanissimi dall’essere analizzati. C’è chi tenta di fare delle ipotesi, ma sono appunto ancora ipotesi allo stato embrionale.
Possiamo però dire che queste modificazioni, rispetto ai secoli passati, ad esempio quando venne inventata la scrittura, oppure la stampa, sono sempre più veloci, talmente veloci da rompere anche quel processo evolutivo “naturale” che ora si deve adattare all’evoluzione tecnologica con tempistiche piuttosto inusuali.
Il desiderio di socializzare è nella natura dell’uomo e il fatto che possano esistere mezzi tecnologici che riescano a soddisfare questo impulso, sarà sicuramente un giovamento per tutti. C’è sicuramente anche un lato interessante dal punto di vista commerciale. Insegnare ai propri dipendenti a socializzare in modo intelligente, anche in funzione dell’azienda nella quale i dipendenti lavorano, potrebbe essere un valore aggiunto nella brand awareness nei prossimi anni. Ovviamente tutto con il giusto equilibrio.
Vedremo. Sicuramente si prospetta un mondo interessante!
temo che sia controproducente affidare la comunicazione corporate a singoli dipendenti, in totale autonomia sul web. i danni che possono essere causati sono potenzialmente di gran lunga superiori ai benefici che si possono produrre (con ovvie e relative eccezioni).
pertanto non credo che i dipendenti che navighino liberamente, e costantemente, sul web durante le ore di lavoro siano utili… anzi, temo che sia proprio il contrario. ciò non toglie che dare loro la possibilità di navigare liberamente per qualche minuto possa incrementare il benessere sul posto di lavoro, ed aumentare la produttività. ma probabilmente stiamo parlando di miglioramenti marginali.
çMarco. Temo che tu abbia ragione/torto. Nel senso che il progresso sta andando in quella direzione. Parlo di progresso in termini di relazioni pubbliche e sociali oltre che di tecnologia. Tu giustamente esprimi dei timori che sono quelli di colui, che non sa ancora cosa sarà questo domani e che aspetto avrà. Vale anche per me. Ma che siano cambiamenti in atto che non si possono fermare, purtroppo o per fortuna, è realtà.
il fatto che taluni cambiamenti non si possano fermare non significano necessariamente che producano effetti positivi. le aziende occidentali (e quelle italiane in particolare) soffrono sempre di più nel confronto con quelle asiatiche perchè queste ultime sono sempre più competitive. fino a che questo gap sarà consistente (come lo è ora) ogni perdita di produttività reale sarà un grosso problema, a prescindere da quale ne sia la causa. pertanto anche se sarà sempre più inevitabile che i dipendenti possano navigare liberamente sul web dal posto di lavoro, se questo genera una perdita di produttività significativa, anche se piccola, per le aziende sarà un problema.
in altre parole è probabile che questo fenomeno nel suo complesso possa essere insostenibile, seppur inevitabile. se non lo si affronta in modo chiaro e obiettivo si rischia di essere impreparati nel momento in cui diverrà perlappunto insostenibile, e pertanto ci si potrebbe trovare nella spiacevole situazione di non avere soluzioni (alternative ai licenziamenti).
occhio…
Gli effetti che rilevi, non possono essere definiti positivi o negativi, sono concetti che non possono essere contemplati in un processo evolutivo. La negatività o positività di un effetto, è una valutazione che dai secondo un metro di giudizio personale o magari anche condiviso con altri, ma soggettivo e legato ai paradigmi socio-economici che regolano la nostra attuale struttura societaria.
Di fatto, stiamo osservando un cambiamento. Quali effetti avrà, non possiamo saperlo, anzi, possiamo dire che, “negativo” o “positivo” sono concetti irrilevanti.
Venendo al gap di cultura aziendale di cui tu parli, che è interessante, le problematiche non sono da ascrivere al cambiamento. Sul tavolo della discussione, andrebbero messe ben altre argomentazioni, a partire dalla formazione, dal grado di scolarizzazione, dallo scambio culturale generazionale al patto generazionale stesso. Ad esempio, in Italia possiamo dire che la classe dirigente aziendale e non, è tra le più vecchie se non la più vecchia d’Europa. Abbiamo imprenditori di aziende anche rilevanti, che passano comodamente i 65 anni di età. Va da sè che la capacità di questi di assorbire le nuove tecnologie per farne un uso futuribile e vincente, in termini di valore aggiunto aziendale, di competitività e di flessibilità agli eventi globali, diventa complicato.
Per contro però abbiamo una generazione dai 18 ai 35 anni a cui per tutta una serie di motivi, è negato l’accesso al mondo del lavoro e peggio ancora, l’accesso al mondo imprenditoriale. Fare impresa oggi, in Italia, per un giovane, è appunto un’impresa complicata e spesso così difficile da non venire mai contemplata nei sogni evolutivi dei giovani. Sappiamo bene quanti legami e legacci, paletti, balzelli, tasse, pratiche burocratiche e quant’altro, portano oggi qualsiasi persona di buon senso a dire: “Imprenditore? Per favore, no”.
A questo aggiungiamo le difficoltà del mondo della scuola, la quale ha perso il suo ruolo culturale e di formazione dell’intellighenzia sociale. La scuola è diventato centro di potere e di voto di scambio, perdendo di vista appunto lo scopo primario. La scuola sta assumendo i connotati, non più di un luogo ove istruire i propri figli ed educarli al mondo adulto, ma un luogo dove parcheggiarli per non tenerli a casa. E’ un disastro. I Paesi Europei più avanzati, hanno capito e stanno prendendo provvedimenti. Ma gli effetti degli investimenti fatti si vedranno nell’arco di una generazione e mezzo. Da noi questi investimenti non esistono nemmeno a livello universitario, fatto di qualche eccellenza e il resto di macelleria culturale vecchia, bolsa, retrogada e inutile.
Quindi, i tuoi timori sono ben fondati. Non c’è che dire! Ma non guardare a internet, con tutti i suoi complessi, anzi complessissimi temi di sviluppo, come fosse un pericolo. Il problema alla fine, non è internet, non sono i social-networks. La pulsione umana, l’istinto, di socializzare, è naturale e fermarlo significa rompere gli equilibri socio-democratici che ci fanno stare insieme. I problemi invece sono purtroppo all’interno del nostro modo di vivere. Cultura dell’etica di gruppo, senso del dovere, sacrificio, combattere …. Sono concetti che abbiamo perso. Non facciamo guerre da più di 60 anni, viviamo in pace e non abbiamo più niente da costruire. viviamo di inutilità e ci abbarbichiamo alla nostra piccola fetta di pseudo-felicità fatta di telefonini, SUV, tette, culi, TV e cocaina. Nessuno è disposto a sacrificare un po’ della sua rendita di posizione e il patto generazionale sta allegramente saltando.
Le prossime generazioni staranno per la prima volta, molto peggio di quelle precedenti, quindi, o si rivolteranno, prima o poi, con enorme violenza (e i segnali li vediamo tutti i giorni) oppure diventeremo una piccola provincia autonoma di qualcuno invece che ce l’ha fatta.
ciao e scusa il sermone.
Devo dire che la discussione sta assumendo toni molto interessanti ed era quello che volevo. Sono d’accordo con Jacopo che dice è un errore vietare i socal media sul lavoro. ma è altrettanto vero che purtroppo questa è la realtà, e qui vengo a quello che sostiene Andreas. E’ una questione di apertura mentale, culturale proprio. Su LinkedIn, dove il post è stato molto commentato con spunti interessanti, Francesca, giornalista, dice che dove lavora lei, parliamo quindi di produttori di notizie, è negato l’uso dei social media, considerati come perdita di tempo.
Questo non è che un esempio di quello che è la realtà nel nostro paese. Se anche al giornalista viene negato l’accesso a quelle che oggi sono anche fonti di notizie, spesso attendibili, vuol dire che la chiusura mentale c’è ed è a tutti i livelli. Pensare al web ancora oggi come tempo perso e non vedere le opportunità che offre, è un errore che pagheremo.
eppure c’è una dinamica di fondo, di primaria importanza, sulla quale il complesso delle altre dinamiche che citi tu può ben poco: si può vivere nel benessere solo se si produce ricchezza. in altre parole qualora i livelli di produzione della ricchezza dovessero diminuire, diminuirebbe giocoforza anche il benessere (e nulla può controvertire questa dinamica).
e, dato che praticamente tutti giudichiamo “negativa” una diminuzione del livello di benessere della nostra vita, non c’è alternativa a definire “negativa” anche una diminuzione della produzione di ricchezza.
ovviamente poi, dopo questo assunto, viene tutto il resto (comprese le ulteriori dinamiche per produrre maggiore benessere in chissà quali altri modi), ma sono di secondaria importanza rispetto ad esso.
@Francesco: bisogna però fare un’importante distinzione. da un lato l’accesso libero al web durante le ore di lavoro può essere utilizzato dai dipendenti per approvvigionarsi continuamente di informazioni importanti o rilevanti (e questo è ovviamente un gran bene). dall’altro può essere utilizzato invece, ad esempio, per giocare o per passare il tempo a chiacchierare su FB (e questo è ovviamente un male).
il problema è che questo secondo comportamento credo sia mediamente molto più diffuso del primo. in altri termini pesando rischi e benefici la bilancia potrebbe pendere decisamente dalla parte dei rischi…
suggerisco pertanto di non affrontare il problema con il pregiudizio che “sia comunque bene”, o “sia comunque male”, ma di affrontarlo senza pregiudizio alcuno, in modo crudamente obiettivo. i problemi esistono, e credo siano innegabili. una volta riconosciuti possiamo cercarvi una soluzione.
Qui sta il punto Marco. Tu consideri la ricchezze secondo paradigmi accettati, diffusi e assorbiti nel DNA di tutti. Questi paradigmi regolano i nostri rapporti socio-economici. Ma stanno scricchiolando sotto il peso del processo evolutivo, che è inarrestabile.
Il capitalismo ad esempio è un sistema socio-economico che, preso in senso temporale, è zero rispetto all’età dell’uomo moderno (dai Sumeri e dalle culture cino-indiane in poi). Non è difficile pensare che pian piano, il sistema si evolverà con paradigmi del tutto diversi, tranne …. quelli che regolano il nostro essere animale, il nostro istinto.
Noi non prevediamo il futuro. Possiamo solo convivere, al meglio delle nostre forze, con quello che condividiamo con gli altri e sperare di soffrire il meno possibile. Ma grazie anche alla nostra intelligenza, possiamo spingere il cambiamento. Ma come sarà il domani, sono solo ipotesi. Io ad esempio prevedo una società molto star-trekiana …. vedremo.
E’ chiaro che intendo l’uso del web con consapevolezza. Ma quello che vedo è una forte connotazione pregiudiziale verso tutto ciò che riguarda la rete, tranne alcune eccezioni. Il pregiudizio di fondo è che il web è il male. Ricordiamoci che il vietare qualcosa non porta nulla di buono, anzi. Si dovrebbe invece consentire l’suo con consapevolezza e coscienza, ma non capisco proprio quelle situazioni dove il web si rende necessario e arriva qualcuno che sostiene invece che sia inutile, oltre che dannoso. Questa è una situazione comune in molti contesti lavorativi, purtroppo.
C’ è una certa pigrizia da parte di taluni manager nel leggere il fenomeno dei social media, bollato come “divertente” ma sostanzialmente sottovalutato.
Eppure si tratta di brillanti professionisti.
Lancio una provocazione…può essere IN PARTE anche colpa “nostra”?
Non dimentichiamoci di una cosa.
I professionisti del marketing sanno vendere di tutto, tranne la loro professione!
Prova è che, spesso, è proprio il marketing in quanto tale ad essere sottovalutato o non compreso nel suo significato (molti lo riducono a mera attività di “sfornamento” dei cataloghi).
Stessa cosa vale per la comunicazione.
E medesimo problema si verifica oggi per i social media.
Forse dovremmo fare qualcosa di più a livello di categoria per affermare in modo chiaro e certo il significato e l’ importanza del marketing e dei fenomeni correlati, incluso il social networking.
@Simon. E lo dici a me????????? Io sono anni che predico nel deserto! E francamente comincio pure a stufarmi!
@Andreas
E’ veramente paradossale questa situazione. Troviamo il modo di comunicare in modo convincente qualsiasi cosa, tranne il nostro lavoro.
Mi pare che Simon abbia toccato un altro punto importante della vicenda. Conosco il pensiero di Andreas, che condivido e sottoscrivo, e spesso proprio con lui ci siamo chiesti il perchè taluni professionisti del web, e web marketing, abbiano così credito vendendo il più delle volte in maniera forzata e anche senza tener conto delle esigenze del cliente. O peggio ancora, ci siamo chiesti come mai ci siano professionisti che vendono fumo negli occhi e nessuno se ne accorga. Il risultato è in parte quello che sostiene Simon. Ci vorrebbe una bella operazione riparatrice dicendo come veramente stanno le cose. O meglio ancora, basterebbe saper fare bene il proprio lavoro. Non è così?
@ simon
Se hai voglia vai sul mio sito e leggi questo post:
http://www.innovando.it/il-marketing-di-casa-nostra-12698.html
Ma dal lato cliente leggi:
http://www.innovando.it/webagency-o-solo-chiacchiere-3678.html
e se ti vuoi divertire:
http://www.innovando.it/vivo-in-un-posto-dove-10-3284.html
Vi segnalo questo interessante articolo di Harvard Business Review nel quale si ripercorre in sintesi la storia del marketing cercando di capire perchè tale disciplina viene spesso sottovalutata, fraintesa o giuducata “roba facile”.
http://hbritalia.it/marketing-vendite/marketing-tra-onori-e-dolori/
Grazie Andreas, leggerò con attenzione e ti faccio sapere che ne penso.
@Francesco: concordo. anche quello è pregiudizio. tuttavia, anche se lo fosse, non influirebbe sulle reali proporzioni tra il tempo perso online dai dipendenti e quello invece impiegato bene. tutto il discorso ruota attorno a questa proporzione (che non ci è dato di sapere, per ora).
@simon: il modo migliore sarebbe convincere i manager uno per uno, con esperienze di successo in grado di far incrementare il loro business utilizzando i social cosi.
ti faccio però un esempio: nell’azienda in cui lavoravo prima (ora sono in proprio) questa cosa era praticamente impossibile, perchè il costo di qualsiasi azione di marketing su social network sarebbe stato superiore a qualsiasi guadagno generabile da essa… in questi casi come li convinci che “perdere” del tempo sui social cosi possa essere in qualche modo utile? (PS: in questa azienda l’accesso al web in ore di lavoro è completamente aperto e non controllato)