Elon Musk decreta la fine degli hashtag su X. Ecco una breve analisi della loro storia e del loro impatto. In questo si decreta definitivamente l’addio a Twitter, dando vita ad una piattaforma in netto contrasto col passato.
Elon Musk, proprietario di X (quella che un tempo era Twitter), ha dichiarato che gli hashtag sulla piattaforma non funzionano più. Li ha definiti “brutti” e inutili, segnando così – senza esagerazione – la fine di un’era.
Si tratta, infatti, di una scelta che non è solo tecnica, ma rappresenta un cambiamento radicale nella filosofia stessa di una piattaforma che deve il suo successo proprio agli hashtag.
La rivoluzione degli hashtag nel 2017
La storia degli hashtag è parte integrante di quella di Twitter. Era il 23 agosto 2007 quando Chris Messina propose l’uso del simbolo “#” per raggruppare discussioni e conversazioni.
Un’idea semplice, ma rivoluzionaria: offrire agli utenti un modo per creare connessioni tematiche immediate e aggregare conversazioni globali su eventi, movimenti sociali e interessi condivisi.
Nel tempo, gli hashtag sono diventati un linguaggio universale. Dai grandi eventi sportivi come i Mondiali di calcio, alle battaglie sociali come #BlackLivesMatter, gli hashtag hanno avuto un ruolo centrale nella comunicazione online.
Hanno permesso alle voci individuali di unirsi in coro, dando visibilità a temi spesso ignorati dai media tradizionali.
Tutto su Twitter.
Da Twitter a X, il passato in frantumi
Con il rebranding di Twitter in X, Elon Musk ha intrapreso una trasformazione che mira a smantellare l’identità storica della piattaforma.
La rimozione degli hashtag è solo l’ultimo tassello di una strategia che punta a ridefinire X come qualcosa di diverso da una piattaforma social media. La visione di Musk, come si è sempre detto, è quella di una “applicazione totale”, una super app che dovrebbe integrare funzionalità di pagamento, e-commerce e intrattenimento.
In questa visione, gli strumenti storici di partecipazione e connessione sembrano essere considerati superflui o addirittura d’intralcio.
Già ad agosto 2023, un mese dopo l’operazione dio rebranding di X, avevo segnalato la progressiva opera di smantellamento degli hashtag. L’occasione per fare chiarezza su come lavora l’algoritmo di X.
Cosa significa eliminare gli hashtag
Ma cosa significa eliminare gli hashtag? Non si tratta solo di perdere una funzionalità tecnica. Gli hashtag rappresentavano un simbolo di partecipazione, uno strumento che permetteva a chiunque di contribuire a una conversazione globale.
Un modo prezioso per seguire e risalire a conversazioni di interesse; per comprendere tanti eventi e tanti fatti.
In un’ottica aziendale, come più volte ho sottolineato qui, gli hashtag erano elementi di personalizzazione della comunicazione di un’azienda.
La loro scomparsa segna la fine di Twitter come lo conoscevamo: una piazza digitale dove ognuno poteva far sentire la propria voce.
Ma segna anche la fine di un certo modo di intendere le piattaforme digitali.
Vero, su altre piattaforme esistono ancora. Ma, per struttura e tipologia delle piattaforme diverse da quello che era Twitter, gli hashtag non troveranno mai lo stesso spazio.
Le conversazioni cambiando su X
Eliminare gli hashtag significa anche cambiare il modo in cui le conversazioni vengono scoperte e organizzate. La scoperta dei contenuti su X sarà sempre più affidata a algoritmi proprietari, togliendo agli utenti il controllo diretto sulla visibilità dei propri messaggi. Questo porta a una piattaforma più chiusa, dove le interazioni sono mediate da scelte proprietarie che privilegiano certi tipi di contenuti rispetto ad altri.
E qui emerge un tema più ampio: Musk vuole che X diventi uno spazio chiuso dove le conversazioni sono animate da evidente polarizzazione senza mai sfociare in un confronto. L’idea di base è polarizzare, chiudere la piattaforma depotenziando i link verso l’esterno, e fare in modo che tutto rimanga all’interno di X.
Obiettivo è quello, si spera, di incrementare il più possibile il tempo di permanenza sulla piattaforma.
Questo approccio contrasta nettamente con la filosofia originale di Twitter, che puntava sulle conversazioni e sulla capacità degli utenti di creare trend. Puntava poi sulla condivisone di notizie e informazioni in modo organico.
Ricordiamo che gli hashtag erano elementi essenziali per seguire le conversazioni in termini analitici. A questo mi riferivo quando ho scritto della personalizzazione della comunicazione.
Gli hashtag venivano creati per fare in modo che tutte le conversazioni potessero aggregarsi dietro a quella parole preceduta dal simbolo “#”.
Gli strumenti di analisi partendo da quel hashtag potevano risalire ad informazioni preziose. Sulle persone che condividevano, da dove condividevano, quante volte, e via dicendo.
Prima di depotenziare gli hashtag ricordiamo che Musk ha riformulato gli accessi alle API, rendendo così complicata l’attività di analisi, ad esempio.
Cosa perdiamo con la fine degli hashtag
Perdiamo molto. Gli hashtag non erano solo strumenti tecnici: erano diventati simboli culturali.
Rappresentavano la capacità della rete di connettere persone attraverso confini geografici, linguistici e culturali. Erano il cuore pulsante delle campagne sociali, e non. E dei grandi movimenti a livello globale, dalla Primavera Araba a #MeToo.
Erano anche strumenti di leggerezza, capaci di unire milioni di persone in momenti di ironia collettiva.
Senza gli hashtag, X perde una parte importante di quella che era l’anima della piattaforma precedente. Diventa una piattaforma che parla sempre meno il linguaggio degli utenti e sempre più quello delle strategie del suo proprietario.
Mi permetto di ricordare qui quando diedi vita a #cinemavoto, l’hashtag che creai nel 2018 in occasione delle allora elezioni politiche. Un successo strepitoso che poi aprì la strada alle innumerevoli versioni fatte con #cinema. A dimostrazione di quanto fosse gli hashtag fossero utili per coinvolgere gli utenti.
Addio hashtag, addio Twitter
La fine degli hashtag segna anche la fine di Twitter.
Quella piazza globale dove ogni hashtag rappresentava un’idea, un momento di condivisione, è ormai un ricordo.
X si dirige verso un futuro diverso, in netta contrapposizione col passato.
Cosa avrebbe fatto Elon Musk di Twitter era ormai cosa nota. Prendere una piattaforma esistente, con dati, utenti e relazioni attive per trasformarla in altro. In questo consiste la spesa di 44 miliardi di dollari, a volte giudicata spropositata.
La fine dell’hashtag non è che il capitolo finale di una storia che ne decreta l’inizio di un’altra. E non per questo più interessante.