Capita spesso e purtroppo che il limite tra libertà di espressione e istigazione all’odio sia più vicino. E questo lo vediamo anche con episodi recenti sul web. La domanda è allora come garantire la libertà di espressione e annullare manifestazioni di odio. Ecco una nostra riflessione
M’interrogo spesso sul confine fra la libertà di espressione e l’istigazione all’odio. Nella Germania nazista Geobbeles si servì della radio che divenne il principale media di propaganda dell’odio verso gli ebrei. La funzione della radio era sicuramente più virale rispetto a quella del cinema e della stampa, era già all’epoca un mezzo popolare fruibile anche dalle persone più povere. Questa campagna di disprezzo, insieme alla sistematica volontà di annientamento di un popolo, costò la vita a circa 6.000.000 di ebrei. Un totale di 11.000.000 di persone vennero uccise nei campi di concentramento, individui condannati per reati politici, testimoni di Geova, rom e omosessuali. Prima di loro 70.000 furono le persone disabili sterminate dal regime, vite che non meritavano di essere vissute, bambini nati non perfetti uccisi per essere studiati. Vennero sterilizzate 375.000 persone in quanto ritenute non degne di vita.
Questa immagine faceva parte di un manuale di biologia, il testo recita: “Stai sostenendo questo peso! Il costo di una persona affetta da malattia ereditaria fino al raggiungimento dei 60 anni è di circa 50.000 marchi”
Nel 1994 fu sempre la radio in Ruanda a fomentare l’odio, lo speaker Kantano ripeteva in continuazione che si dovevano seviziare e sterminare gli scarafaggi Tutsi con il risultato che in 100 giorni furono un milione le persone massacrate, perlopiù a colpi di macete.
Recentemente nel nostro paese abbiamo assistito alla condanna e all’amnistia di un direttore di un giornale che aveva editato un articolo delirante in cui si condannava in pratica l’aborto di un’adolescente. In questi giorni abbiamo visto come la campagna dell’odio verso le donne, propagata da un sito, abbia fatto presa su un prete che ha sposato l’ennesima follia di un sedicente giornalista.
Da tempo in rete viene segnalata una pagina che, usando un nome per trarre in inganno le persone, usa propinare argomentazioni falsate riguardo al tragico fenomeno del femminicidio negandone a priori l’esistenza.
Numerosi sono i gruppi e le pagine su facebook che inneggiano al fascismo e al nazismo, pagine intrise di razzismo e di omofobia. Oltre queste ve ne sono altre che oltraggiano le persone in carne, i disabili, insomma ce n’è per tutti.
In queste ore il governo francese si sta interrogando su eventuali misure da prendere riguardo all’uso su twitter di hastag inquietanti che hanno dato il via a tweet omofobi, antisemiti e razzisti.
Mi è capitato ieri di leggere un post che condanna chi invoca la censura per tali deliri equiparando questa al fascismo. Mi chiedo però se il consentire di vomitare oscenità sia segno di apertura mentale o lassismo. Abbiamo visto in passato, anche in quello più recente, come il lasciar perdere sia costato caro a milioni di persone. Non credo che misure restrittive come il carcere possano funzionare da deterrente, spesso chi viene condannato si attinge a martire e questo non fa che aumentate l’odio che ha motivato lui e i suoi simpatizzanti. Tuttavia non riesco a non provare indifferenza quando leggo qualcosa che lede la dignità delle persone, i diritti umani. Se offesa reagisco con i mezzi che ho, certamente il sentirmi ferita mi fa perdere lucidità, ma sento che l’indifferenza sarebbe per me ancora peggio. Mi chiedo spesso se sia solo una cerchia ristretta d’individui ad indignarsi e protestare e se questa possa o meno influenzare anche altri.
Rammento benissimo i commenti razzisti che lessi nei giornali online quando, il 13 dicembre dello scorso anno, vennero uccisi due uomini senegalesi a Firenze. Ogni volta che leggo un articolo riguardo a vittime di violenza o di guerra noto l’affiorare di commenti pieni di odio, frasi vomitate per screditare altri, parole che offendono l’umanità intera.
Non possiamo impedire che venga detto di tutto sulla pelle degli altri, ma io non posso che condannarlo, la mia morale me lo impone, me lo impone quello che mi hanno insegnato i miei genitori, quello che ho imparato sui libri di storia.
L’odio è presente in rete, questa finestra non fa che amplificare e far sentire potenti chi costruisce siti, pagine o hastag offensivi. Qualcuno lo farà per uno stupido gioco, altri perché accecati da sentimenti negativi. E’ comunque un fenomeno sul quale ci dobbiamo interrogare, che non dobbiamo sottovalutare.
Ricordo una frase di un film, Mississipi Burning, che racconta dell’indagine sulla sparizione di tre attivisti dei diritti civili negli anni 60 nel sud degli Stati Uniti, ad un certo punto la moglie di un appartenente al Klux Klux Klan dice: “L’odio non è qualcosa con cui si nasce, te lo insegnano fin da piccoli e con l’odio ci si cresce e io quell’odio l’ho sposato”.
Si può scegliere chi sposare, l’educazione però ci viene impartita e siamo tutti soggetti al nostro ambiente che è fatto di persone, ma anche dai mezzi di comunicazione.