Un recente studio condotto da alcuni ricercatori della Yale University e della Università di Madrid ha scoperto il modo attraverso il quale un contenuto, un’informazione, diventa virale sui Social Media. Il metodo addirittura permette di prevedere un contenuto di tendenza fino a due mesi prima
Come si fa a rendere un contenuto virale? Come fa un’informazione ad essere condivisa da migliaia di utenti sui social media, al punto da diventare argomento di tendenza globale? e soprattutto, come si fa ca capirlo prima? Sicuramente questo è uno di quegli argomenti che tutti, siano essi semplici utenti o aziende, vorrebbero sapere per far girare il più possibile le proprie informazioni e raggiungere quindi un elevato numero di persone. Alle volte un contenuto diventa virale perchè ha la suo interno degli elementi i quali purtroppo non sono spesso replicabili e soprattutto non vi è mai l’assoluta certezza che quel contenuto possa davvero poi raggiungere davvero tutti. E allora vale la pena scoprire il metodo elaborato dai ricercatori della Yale University insieme a quelli della Università di Madrid attraverso il quale è possibile anche prevedere fino a due mesi prima la viralità di un dato contenuto. Il metodo può essere davvero utile per comprendere avvenimenti politici, i comportamenti dei consumatori, addirittura potrebbe rivelarsi utile anche in un contesto sanitario.
Come sappiamo bene, data la grossa mole di informazioni che ad oggi circola sui Social Media ad una velocità sostenuta, è dunque ben difficile riuscire a fare qualche previsione sulla effettiva viralità di un contenuto. I ricercatori hanno concentrato le loro ricerche su un ristretto campione di utenti servendosi di Twitter per meglio individuare quegli utenti, meglio, gruppi di utenti, che fungessero da “sensori”, ossia quegli utenti che sono in grado poi di avviare alla diffusione globale del contenuto. I ricercatori volevano comprendere come il contenuto si sviluppasse verso il centro e come poi lo stesso si diffondesse verso gli altri utenti. Quindi una volta individuati gli utenti, definiti “sensori”, sarebbe poi stato utile monitorare come essi twittavano o conversavano con altri utenti, un procedimento che i ricercatori definiscono “sensor hypothesis“.
Allora, per sei mesi, nel 2009, sono stati monitorati contenuti e conversazioni su Twitter. Si è partiti con una rete di utenti di 40 milioni connessa con 1,5 miliardi di “follows”, poi in maniera casuale da questi hanno selezionato piccoli gruppi di utenti centrali, con almeno una persona che li seguisse, e sono stati creati quindi i gruppi di monitoraggio. In sostanza lo studio dimostra il modello dei “piccoli gruppi di amici” è la chiave per l’effettiva diffusione esplosiva di un contenuto e che quindi permette di prevedere la viralità di hashtag, almeno 9 giorni prima. Quindi sono gli individui “sensori” la chiave di tutto. Il modello permette quindi di rilevare che ogni utente ha in media 25 followers che a loro volta hanno 422 followers.
La ricerca fornisce anche alcuni “prove” a sostegno della effettiva validità di questo modello. Ad esempio, attraverso questo metodo i ricercatori sono stati in grado di prevedere fino a due mesi prima l’effettiva viralità di #Obamacare come tendenza globale su Twitter, e tre mesi prima che diventasse la keyword più ricercata su Google. Il metodo può essere utilizzato anche in tempo reale e implementato anche su diverse aree geografiche.
Questo metodo a questo punto può risultare di importanza rilevante in una prima analisi degli umori sui social media rispetto ad argomenti di natura politica, economica, sociale, come dicevamo prima utile anche a capire l’atteggiamento dei consumatori. Ma sarebbe utile anche in un contesto sanitario, come per esempio dare delle risposte immediate rispetto a epidemie o altre malattie.
Insomma, il metodo dei “sensori” ci darà modo di capire l’effettiva portata virale dei contenuti. E voi cosa ne pensate di questa ricerca?
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